La responsabilità del datore di lavoro per contagio del dipendente

Riteniamo possano essere utili alcune considerazioni circa la responsabilità del datore di lavoro in relazione contagio da COVID-19

La presente disamina ci è suggerita dalle recenti indicazioni in materia contenute nella circolare INAIL n. 22 del 20-5-2020.

I. Detto documento ribadisce come l’art. 42, comma 2, D.L. 18/2020 convertito, con modificazione in L. n. 27/2020 abbia chiarito che l’infezione da COVID 19 2 è tutelata dall’Inail quale infortunio sul lavoro, anche nella odierna situazione – eccezionale – di pandemia “causata da un diffuso rischio di contagio in tutta la popolazione”:

1. le patologie infettive (compreso il COVID-19) contratte in occasione di lavoro sono inquadrate e trattate come infortunio sul lavoro. La causa virulenta viene equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio, anche quando i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo;

2.  ove il contagio sia riconducibile all’attività lavorativa, l’indennità per inabilità temporanea assoluta copre anche il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria, con la conseguente astensione dal lavoro secondo un principio secondo cui l’impedimento comprende, oltre alla fisica impossibilità della prestazione lavorativa, anche la sua incompatibilità con le esigenze terapeutiche e di profilassi del lavoratore;

3. gli oneri degli eventi infortunistici del contagio sono posti carico della gestione assicurativa e non comportano maggiori oneri per le imprese; ciò in quanto tali eventi pandemici sono stati a priori ritenuti frutto di fattori di rischio non direttamente e pienamente controllabili dal datore di lavoro al pari degli infortuni in itinere.

II. Quanto alle linee guida per ’accertamento dell’infortunio da contagio da COVID 19, da parte dell’INAIL esse si basano su due principi fondamentali:

a) deve essere considerata causa violenta di infortunio sul lavoro anche l’azione di fattori microbici e virali che penetrando nell’organismo umano ne determinano l’alterazione dell’equilibrio anatomico-fisiologico, sempre che tale azione, anche se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia legata allo svolgimento dell’attività lavorativa;

b) può ritenersi raggiunta la prova dell’avvenuto contagio per motivi professionali, anche attraverso presunzioni, quando si arriva a stabilire che l’evento infettante si è verificato in relazione con l’attività lavorativa (la mancata dimostrazione dell’episodio specifico di penetrazione nell’organismo del fattore patogeno non può ritenersi preclusiva della ammissione alla tutela).

Nel procedere alla valutazione non può operare alcun automatismo ma occorre sempre accertare la sussistenza dei fatti noti, cioè di indizi gravi, precisi e concordanti sui quali deve fondarsi la presunzione semplice (conseguenza ragionevole, probabile e verosimile secondo un criterio di normalità) che faccia  desumere che il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro (le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, le indagini circa i tempi di comparsa delle infezioni, ecc.).

In tale contesto, l’INAIL valuta tutti gli elementi acquisiti d’ufficio, quelli forniti dal lavoratore nonché quelli prodotti dal datore di lavoro, in sede di invio della denuncia d’infortunio contenente tutti gli elementi utili sulle cause e circostanze dell’evento denunciato.

– In un passaggio importante del documento l’Inail precisa che il riconoscimento dell’origine professionale del contagio, si fonda in conclusione, su un giudizio di ragionevole probabilità ed è totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa del contagio.

Non possono, perciò, confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail …, con i presupposti per la responsabilità penale e civile che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative.

In questi, infatti, oltre alla già citata rigorosa prova del nesso di causalità, occorre anche quella dell’imputabilità quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro.”

E più avanti nella circolare in oggetto, si evidenzia come il riconoscimento del diritto alle prestazioni da parte dell’Istituto stesso non può assumere rilievo per sostenere l’accusa in sede penale e neppure in sede civile; ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo nella determinazione dell’evento.

III. Responsabilità del datore di lavoro

Com’è noto, la norma di cui all’art. 2087 c.c. NON configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, perché la colpa ne è elemento costitutivo; colpa intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire danni al lavoratore.

  • Dalla norma del codice non può neppure dedursi un obbligo assoluto, in capo al datore di lavoro, di rispettare ogni cautela possibile e diretta a garantire un ambiente di lavoro a “rischio zero”, “ […] non si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto.

Sul tema si è così espressa recentemente la Corte di  Cassazione – Sez. Lavoro – ord. n.3282/2020:

In tema di infortuni sul lavoro, va esclusa la responsabilità del datore di lavoro che, oltre ad avere fornito i necessari mezzi di protezione, ha impartito le opportune istruzioni sull’uso degli stessi ed esercitato una costante attività di vigilanza, laddove l’infortunio occorso sia addebitabile a una condotta del lavoratore imprevedibile ed esorbitante rispetto alle direttive impartite, sì da porsi quale causa esclusiva dell’evento.

La violazione dell’art. 4, lett.c) del d.P.R. n. 547 del 1955 (che obbliga i datori di lavoro a “disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione”) non può essere desunta dalla mera verificazione dell’evento infortunistico, ma postula la dimostrazione della condotta omissiva.

E già la Cassazione civile – Sez. Lavoro – sent. n. 14066/2019 ribadiva come la responsabilità dell’imprenditore non è oggettiva, bensì fondata sulla violazione di obblighi di comportamento, a protezione della salute del lavoratore, imposti da fonti legali o suggeriti dalla tecnica, purché concretamente individuati.

  • “Ne consegue che va esclusa la possibilità di ricavare dalla norma citata l’obbligo del datore di adottare ogni cautela possibile ed innominata, non potendosi esigere la predisposizione di misure idonee a prevenire ogni evento lesivo“.

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 Quindi può sommariamente dedursi che la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del decreto legge 16 maggio 2020, n.33.

Non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il rischio zero, soprattutto nell’ipotesi pandemica come quella che ci occupa, detto meccanismo consente di sottolineare l’indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo dell’INAIL da quello giudiziario.