Perché una Pagina Facebook non è (più) uno strumento per gli studi legali

Con oltre venticinque milioni di Pagine aziendali attivate, Facebook è sempre più guardato come l’ambiente dove necessariamente – e, in buona misura, anche per moda – una organizzazione deve essere presente, anche solo per riservare il proprio nome e “marcare il territorio”. Non fanno eccezione gli studi legali che spesso si registrano come “impresa
locale” così da avere una presenza istituzionale a beneficio dei clienti e del proprio mercato.
Da qui a riuscire a trarne valore purtroppo il passo è lungo ed è tanto più complesso quanto più il social network ha premuto nel recente passato l’acceleratore sul privilegiare solo pochi post ai quali dare massima rilevanza nelle Bacheche sulla base dei fattori di un algoritmo
già chiamato “Edgerank”.
Dedicare tempo per scegliere e pubblicare contenuti senza conoscere i criteri dell’algoritmo può tradursi pertanto nel non essere visti da coloro che abbiano già deciso di seguire la Pagina dello studio: la media di chi vede i post delle Pagine è infatti molto bassa e si aggira intorno al 7,7% dei liker.
Vediamo di capire come funziona l’algoritmo.
Facebook innanzitutto privilegia, nelle Bacheche degli utenti, quei post di amici e Pagine con cui vi sia stata diretta interazione (“Affinità”) sotto forma di like, commenti e condivisioni con un articolare accento sugli ultimi cinquanta soggetti con i quali tale interazione sia avvenuta (“Last Actor”): è evidente come sia complesso per uno studio cavalcare questo fattore se non dando continua evidenza a notizie legali ed occupandosi di seguirne le domande con il rischio di dare giudizi delicati e spesso tesi, da parte degli utenti, a ricevere una consulenza approssimativa e gratuita.
Il secondo fattore che il social network considera è la tipologia (foto, link, video, …) di post verso cui l’utente ha mostrato maggior interesse (“Peso”): anche in questo caso non è semplice per uno studio di professionisti variare la tipologia di contenuti. Un tool utile per analizzare in ogni caso i rendimenti delle diverse tipologie di post pubblicati è Fanpagekarma .com.
Il terzo fattore coinvolto è il Tempo che incentiva i responsabili delle Pagine a pubblicare contenuti nei momenti di maggior presenza online dei propri liker così come indicata dalle statistiche di Facebook presenti nella pagina stessa (“Insights”): per quanto i post possano essere programmati, non è però semplice per uno studio legale essere presente
in modo assiduo sulla Pagina.
A partire da dicembre, Facebook ha infine attribuito un punteggio di qualità alle Pagine sulla base di criteri quali la velocità di risposta alle domande, la diversità di siti da cui si traggono i link e la qualità dei contenuti: tutti aspetti che tendono a concentrare la visibilità su poche Pagine che sappiano dare grande attenzione al social media marketing.
Per quanto dunque estremamente utilizzato dagli italiani – 26 milioni sono gli iscritti nel nostro Paese – Facebook non è quindi da suggerirsi con immediatezza agli studi legali: più facile valutare invece un uso non rivolto al cliente finale, ma più teso all’informazione professionale dell’avvocato come Twitter e o a al networking come Linkedin ed è forse più corretto immaginare Facebook come strumento che l’avvocato possa usare sul piano professionale per porre su un piano personale la relazione con alcuni clienti chiave dello studio: essere aggiornati sui loro interessi e poter interagire con loro anche su temi meno formali può infatti produrre maggiore fiducia e attenzione. La possibilità di creare delle cerchie fra gli amici consente infine di selezionare la cerchia di contatti a cui si mostra ciò che si scrive potendo così da essere più cauti – o semplicemente meno inopportuni – nel momento in cui si hanno su Facebook sia contatti personali che professionali.