La normativa antiusura si applica anche agli interessi di mora

Con la sentenza n. 19597/2020 del 18 settembre 2020 la Corte di Cassazione, a sezioni unite, ha finalmente posto rimedio alla situazione di incertezza interpretativa riguardante il delicato aspetto della applicabilità della normativa antiusura agli interessi di mora nei rapporti bancari.

Gli indirizzi contrapposti

Prima di tale pronuncia si erano nettamente contrapposti due indirizzi interpretativi giurisprudenziali.

Una prima tesi restrittiva negavano qualsiasi possibilità di indagine agli interessi passivi, sulla base della diversa funzione degli interessi di mora (sanzionatoria, quale forma di risarcimento “legale” in caso di  inadempimento delle obbligazioni pecuniarie) rispetto a quelli corrispettivi, aventi funzione meramente remuneratoria della concessione del credito (specialmente da parte di operatori bancari). Sulla stessa linea si poneva anche la considerazione che la normativa primaria ma anche secondaria (i decreti ministeriali trimestrali) non hanno mai effettuato alcuna rilevazione delle soglie in caso di mora, limitandosi a distinguere le soglie sulla base delle tipologie di strumento creditizio utilizzato.

Un secondo indirizzo estensivo si fondava sulla lettera della Legge (art. 1815, cod. civ.; art. 644 c.p., art. 2, comma 4, Legge n. 108 del 1996) che non solo non pone alcuna distinzione ai fini della sua applicabilità, ma regola (e sanziona) espressamente la pattuizione di interessi “a qualsiasi titolo”.

La scelta della Suprema Corte

Le sezioni unite, accedendo alla seconda delle tesi contrapposte, fonda il suo convincimento  considerando che la ratio della normativa di riferimento è quella di tutelare non solo il singolo debitore, ma anche regolare il mercato creditizio reprimendo possibili abusi, per cui non vi è ragione per escludere  gli interessi moratoria dalla verifica sulla usurarietà, ben potendo realizzarsi l’abuso anche ove si pattuiscano interessi di mora eccessivi.

Gli effetti pratici sulle modalità di verifica

In applicazione del citato principio, la Corte afferma anche che:

– l’individuazione della soglia va effettuata con riferimento ai Decreti Ministeriali periodici (e cioè nello specifico ai tassi moratori medi rilevati), precisando che nel caso in cui le rilevazioni periodiche non contengano tale dato (come accadeva in passato), dovrà necessariamente farsi riferimento al T.E.G.M.;

– ove si accerti un superamento delle soglie periodiche, non saranno dovuti interessi di mora illegittimi ma troveranno applicazione, per lo stesso periodo, gli interessi convenzionali pattuiti (purché ovviamente rientrino nelle soglie di riferimento;

– sotto il profilo probatorio, il debitore che intenda provare l’usurarietà degli interessi ha l’onere di dimostrare: il tipo di rapporto contrattuale; la clausola negoziale che assume illecita; il tasso moratorio in concreto applicato; l’eventuale qualità di consumatore; la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato. Spetterà invece al creditore allegare fatti modificativi e/o istintivi (come ad esempio l’applicazione in concreto di interessi inferiori a quelli pattuiti).

Il testo della sentenza per esteso è disponibile qui